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Quando il territorio diventa architettura

23 luglio 2020

Se prima l’architettura simboleggiava la lotta dell’uomo nel superamento dei limiti, strutturali e tecnologici, imposti dall’ambiente, oggi si assiste a una forte controtendenza: gli edifici si nascondono, svelando all’esterno solo il loro stretto legame con la natura.

Di Nora Santonastaso

 

Ci sono ma non si vedono. E, trattandosi di architetture, questa invisibilità, perseguita come obiettivo principale del progetto, potrebbe sembrare un paradosso. Fin dall’antichità, infatti, l’architettura si è posta come strumento di trasformazione del territorio, per accogliere, al riparo di un tetto e di un involucro di pareti, le attività dell’uomo, sia familiari che collettive. Con il passare del tempo alla necessità primaria di rifugio si è aggiunta quella di raccontare attraverso l’architettura simboli e significati: le proporzioni del costruito si sono adeguate di conseguenza, affinando le proprie caratteristiche sulla scorta di specifiche esigenze espressive.  Non mancano, anche nella storia recente, esempi di edifici ideati per sfidare i limiti strutturali e tecnologici imposti dall’ambiente. Il pensiero non può che andare al Burj Khalifa, il grattacielo di SOM la cui guglia tocca gli 829,80 metri, sormontando Dubai e detenendo il primato di edificio più alto del mondo.

 


Il grattacielo Burj Khalifa a Dubai, che con la sua guglia tocca l’incredibile vetta degli 829,80 metri, detiene il primato di edificio più alto del mondo.

 

Per scoprire le architetture che sviluppano il loro concept in totale controtendenza rispetto al passato e al grattacielo di Dubai, partiamo da un edificio insolito, immerso nella campagna toscana e, in particolare, nel territorio del Chianti Classico. Siamo ospiti dei Marchesi Antinori, che da ventisei generazioni si dedicano alla produzione vinicola: era infatti il 1385 quando Giovanni di Pietro Antinori entrò a far parte dell’Arte Fiorentina dei Vinattieri. Il 25 ottobre 2012 una grande festa ha inaugurato la nuova Cantina, realizzata su progetto di Archea Associati. L’edificio, che a tratti sembra scomparire all’interno della morbida collina che lo accoglie, si articola su più livelli, sviluppando una superficie di ben 39.700 metri quadrati. La visita alla Cantina inizia solitamente dal piano interrato. Il percorso di ascesa alla copertura, mediato dal volume simbolico della grande scala elicoidale, fa percepire la perfetta integrazione tra costruito e territorio. I bordi dell’edificio seguono un andamento irregolare, che ridisegna le curve di livello e le sistemazioni a verde, definendo un insieme unico, senza soluzione di continuità. L’architettura scompare letteralmente alla vista dall’alto, pur essendo presente e ben articolata nelle varie funzioni che l’edificio racchiude.

 


L’integrazione tra architettura e territorio esemplificata dal progetto della Cantina Antinori di Archea Associati, inaugurata nel 2012.
© Foto: Nora Santonastaso / design outfit

 

Sta per sorgere, nascosta nelle fitte foreste norvegesi, una fabbrica che fa dell’ecosostenibilità un vero e proprio filo conduttore, sotto tutti i punti di vista. Si chiama The Plus e, una volta completata, accoglierà lo stabilimento produttivo di Vestre, azienda leader nella produzione di arredi in materiali riciclabili, a basso impatto ambientale. Il progetto dell’edificio porta la firma di Bjarke Ingels, che ha accolto la sfida di tradurre in architettura i valori fondamentali dell’azienda, annullando, visivamente e concretamente, i limiti che ci impongono di pensare a una fabbrica come a qualcosa di nettamente distinto dall’ambiente naturale. Il gap è stato superato interponendo tra i due spazi una serie di semplici diaframmi trasparenti, che consentono di far entrare, letteralmente, la natura all’interno dell’edificio. Per la realizzazione di molti elementi strutturali, inoltre, è stato utilizzato il legno degli alberi abbattuti per far posto alla nuova costruzione, determinando quindi un processo virtuoso di riciclo a chilometro zero.       

 


The Plus, edificio progettato da Bjarke Ingels, accoglierà il nuovo stabilimento produttivo di Vestre immerso nella foresta norvegese.
© 
Render: Bjarke Ingels Group (BIG)

 

Ha da poco riaperto al pubblico, completamente rinnovato, il Museo ai piedi del Gateway Arch, l’architettura monumentale simbolo di St. Louis progettata dall’architetto finlandese Eero Saarinen nel 1947. Una struttura snella di cemento alta ben 192 metri, simbolo di quel superamento dei limiti di cui dicevamo all’inizio, si staglia a contrasto – e quasi a protezione – dell’architettura ipogea invisibile progettata dallo studio James Carpenter Design Associates per ospitare l’ampliamento del museo preesistente. Il nuovo ingresso allo spazio espositivo avviene a una quota inferiore rispetto a quella occupata dalle ampie sistemazioni a verde del parco. Una lunga passerella, dimensionata per poter essere percorsa anche da persone con ridotto grado di mobilità, svolge un ruolo complementare importante: disegna infatti l’andamento curvilineo della pensilina che protegge l’ingresso al museo, nascondendolo alla vista del visitatore più distratto. 

 


Il nuovo Museo del Gateway Arch a St. Louis mette a confronto un edificio ipogeo e una struttura snella e altissima, integrando i due significati dell’architettura.
© Foto: Nic Lehoux

 

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